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La malattia di Alzheimer: dai circuiti nervosi alla terapia sociale e familiare

La malattia di Alzheimer si colloca nell’ambito delle malattie neurodegenerative. Tali malattie si caratterizzano per la progressiva degenerazione di gruppi di cellule nervose e comprendono, oltre alla malattia di Alzheimer, altre patologie epidemiologicamente rilevanti quali la malattia di Parkinson e i parkinsonismi atipici o la sclerosi laterale amiotrofica.

Quello che accomuna tali patologie è la degenerazione di specifici sottotipi di cellule nervose e l’accumulo di proteine anomale a livello intracellulare. Quello che invece le differenzia è la sintomatologia clinica che è strettamente legata al tipo di neuroni e di circuiti nervosi coinvolti nel processo neurodegenerativo.  Per dare una visione semplificata, nella malattia di Parkinson i circuiti neurali maggiormente coinvolti sono quelli deputati al controllo del movimento e per tale motivo i sintomi motori, quali: bradicinesia, rigidità muscolare e tremore, risultano prevalenti nelle fasi iniziali della malattia.

Nella malattia di Alzheimer invece, i circuiti maggiormente colpiti sono quelli coinvolti nei processi cognitivi e nel processamanto della memoria, cosicché, soprattutto all’esordio della malattia, i sintomi principali sono il disturbo della memoria a breve termine (cioè la difficoltà ad immagazzinare nuovi ricordi), il disorientamento spaziale e temporale (il paziente ha difficoltà ad orientarsi anche nel suo ambiente quotidiano, si perde, non ha una corretta percezione del tempo, delle stagioni, della sua stessa età). Con il proseguire della patologia neurodegenerativa, sempre più arie del cervello vengono coinvolte e sempre più gruppi di neuroni vanno incontro a neurodegenerazione. Questo ci spiega perché negli stadi avanzati della malattia compaiono molti più sintomi, inclusi sintomi motori e disturbi dell’affettività e del controllo delle emozioni. Un paziente ammalato di malattia di Alzheimer in stadio avanzato è un paziente che può essere immobile, non in grado di provvedere a nessuno dei suoi bisogni quotidiani e che non ha una adeguata interazione cognitiva ed emotiva con l’ambiante circostante.

A livello patologico la malattia di Alzheimer si caratterizza per la degenerazione di gruppi neuronali in diverse aree cerebrali che includono: l’ippocampo, il nucleo basale di Meynert e successivamente tutta la corteccia cerebrale. Ognuna di queste aree è importante per la determinazione dei sintomi della malattia di Alzheimer.

L’ippocampo è così denominato poiché la sua conformazione anatomica ricorda un cavalluccio marino. Esso riceve proiezioni da tutte le aree della corteccia cerebrale e rappresenta la regione anatomica dove avviene il consolidamento dei ricordi e quindi la sua precoce degenerazione in corso di malattia di Alzheimer ci spiega il deficit di memoria a breve termine che si riscontra all’esordio della malattia.

Il nucleo basale di Meynert è un piccolo nucleo posto alla base degli emisferi cerebrali e che produce un importante neurotrasmettitore di nome acetil-colina. La proiezione colinergica del nucleo basale di Meynert raggiunge tutte le aree corticali e coadiuva tutti i principali processi cognitivi quali il riconoscimento sensoriale (gnosie) o la programmazione di comportamenti (prassie). La degenerazione di questo nucleo, insieme alla degenerazione di differenti aree corticali ci spiega perché i pazienti con malattia di Alzheimer presentano difficoltà nel riconoscere oggetti e persone (agnosie) e presentano alterazione nella organizzazione dei comportamenti motori e non motori (aprassie). Attualmente la maggior parte delle terapie farmacologiche volte a migliorare i sintomi della malattia di Alzheimer sono infatti indirizzate a ricostituire e incrementate i livelli di acetilcolina cerebrale.,

Recentemente la ricerca ha evidenziato che anche altri gruppi di neuroni sono coinvolti nella patogenesi della malattia di Alzheimer, in particolare i neuroni di una piccola area del tronco encefalico detta Area Tegmentale Ventrale. Questa piccola regione del cervello è in grado di produrre un importante neurotrasmettitore di nome Dopamina. La Dopamina è il neurotrasmettitore che manca nella malattia di Parkinson e la sua carenza si collega alla difficoltà di programmare il movimento tipica dei pazienti parkinsoniani. Ma la dopamina è anche il neurotrasmettitore della felicità e del piacere e in particolare, le proiezioni dell’area tegmentale ventrale raggiungono i circuiti nervosi deputati alla percezione del piacere ed alla gratificazione. Come si può immaginare, se un evento, una situazione, una persona, un aspetto della quotidianità provoca piacere, tendiamo a ricordarlo di più, perché il piacere rappresenta un meccanismo di rinforzo il nostro ricordo. In natura infatti i meccanismi di gratificazione e piacere sono stati sviluppati e si sono evoluti per consolidare gli aspetti più essenziali alla sopravvivenza della specie, quali la riproduzione e la nutrizione. Si comprende quindi che l’alterazione dei circuiti di gratificazione e la degenerazione dei neuroni dopaminergici deputati alla gratificazione, può essere un ulteriore fattore che determina il deficit di memoria nei pazienti con malattia di Alzheimer.

Si deve inoltre ricordare che, quando parliamo di memoria, parliamo di creazione di nuove connessioni neuronali che prendono il nome di sinapsi e sono la rappresentazione cellulare ed anatomica dei nostri ricordi. Le sinapsi tra i nostri neuroni raccontano la nostra vita e si formano in base alle nostre esperienze, alle nostre emozioni, a tutto quello che nella vita facciamo, impariamo, sentiamo, viviamo. Si comprende quindi che la creazione di nuove connessioni sinaptiche può essere in un certo qual modo “protettiva” in corso di processi neurodegenerativi, poiché più alto sarà il numero di connessioni tra i nostri neuroni e più alto sarà il nostro bagaglio cognitivo. Questo concetto prende il nome di “riserva sinaptica” ed è fondamentale nella terapia e nella prevenzione della malattia di Alzheimer.

Per comprenderlo meglio proviamo a fare un piccolo esempio: immaginiamo che ci siano due persone nel deserto, una porta con se un sacco pieno di acqua e vivande di ogni tipo, l’altra ha un sacco più leggero con un paio di litri di acqua e 5-6 pezzi di pane. È facile immaginare che a mano a mano che si avanza nel deserto e le riserve di acqua e cibo iniziano a scarseggiare, la persona con un sacco pieno di acqua e vivande avrà molte possibilità di continuare a nutrirsi, mentre la persona con solo pochi pezzi di pane terminerà presto e le sue risorse rischiando di morire per la fame e la sete. Possiamo quindi affermare che le sinapsi sono la riserva di acqua e cibo del nostro cervello cognitivo e più connessioni tra neuroni (appunto: sinapsi) riusciamo a creare, maggiore sarà la nostra capacità di resistere alla perdita di neuroni e connessioni neurali che avviene in corso di malattie neurodegenerative. In numerosi studi infatti, si è visto come l’esercizio fisico, la lettura, l’arricchimento culturale ed emotivo siano più efficaci nel proteggere dalla malattia di Alzheimer rispetto a qualunque farmaco. Tutti gli studi clinici inoltre ci dimostrano come la gravità dei sintomi della malattia di Alzheimer sia inversamente proporzionale al grado di scolarizzazione e alla quantità di attività fisica. Più alto è il grado di scolarità del paziente e più lievi saranno i sintomi della malattia. Allo stesso modo più il paziente si sarà impegnato in attività fisica nel corso della sua vita, più basso sarà il rischio di malattia di Alzheimer e la gravità dei suoi sintomi.

La malattia di Alzheimer è una patologia devastante per il paziente e per la sua famiglia. Il paziente si vede svanire progressivamente la sua memoria storica e con essa la sua identità personale fatta da tutto il puzzle di ricordi, emozioni ed esperienze che hanno caratterizzato la propria vita. La famiglia si trova impotente difronte ad una malattia inesorabile e progressiva e subisce il transfer del proprio caro che percepisce il progressivo sgretolamento della sua identità.

Cosa possiamo fare allora per questi pazienti? I farmaci purtroppo non danno molte speranze e la loro efficacia sui sintomi e sulla progressione della malattia non è sempre soddisfacente. Nuove opzioni terapeutiche si stanno facendo però avanti con anticorpi monoclonali di nuova generazione diretti contro gli aggregati proteici che provocano la degenerazione dei neuroni in corso di malattia di Alzheimer (la proteina beta-amiloide e la proteina tau).

Nel frattempo quello che possiamo fare è rivolgerci ad un neurologo esperto di demenze e farci seguire da un punto di vista farmacologico per migliorare l’output sintomatologico del paziente, ma nello stesso tempo possiamo agire in maniera preponderante sulle emozioni e sulla riserva cognitiva. Un paziente con malattia di Alzheimer è un paziente che va continuamente stimolato e spronato a imparare, fare attività, muoversi, pensare, creare, al fine di mantenere viva o incrementare la riserva sinaptica di cui parlavamo in precedenza. Ogni attività sociale o creativa può rallentare la progressione dei sintomi, aumentato la riserva cognitiva del paziente. La musica, l’apprendimento di nuove capacità artigianali come la realizzazione di oggetti, il coinvolgimento in attività teatrali o le scuole di ballo, il coinvolgimento in gruppi di discussione su varie tematiche, le attività sportive, i corsi di cucina. Ognuna di queste attività metterà il paziente a contatto con nuove esperienze sensoriali ed emotive e con la necessità di programmare ed imparare nuovi comportamenti e quindi stimolerà il paziente a sviluppare nuove connessioni sinaptiche che costituiranno una riserva protettiva durante il deterioramento cognitivo proprio della malattia di Alzheimer. Chiaramente tali attività dovranno essere fatte in modo mirato e tenendo conto di quali domini cognitivi sono maggiormente interessati dal processo degenerativo in ogni paziente. Ecco perché è necessario un adeguato inquadramento neurologico, una diagnosi abbastanza precoce ed una altrettanto precoce esecuzione dei test neuropsicologici che ci mostrano il quadro cognitivo preciso di ogni paziente.

Parallelamente a questo è altrettanto importante il supporto emotivo e familiare. I pazienti con malattia di Alzheimer hanno necessità di essere accolti e di essere stimolati emotivamente. Come abbiamo spiegato prima le emozioni positive consolidano e rinforzano i nostri ricordi e contribuiscono quindi allo sviluppo di nuove connessioni sinaptiche. Inoltre le emozioni positive aumentano a livello cerebrale di numerosi neurotrasmettitori come la dopamina, la noradrenalina e la serotonina, i quali non solo possono consolidare la formazione di nuove sinapsi, ma che possono anche esercitare un attività di sostegno ai neuroni in corso di neurodegenerazione e addirittura possono stimolare il reclutamento di nuove cellule staminali cerebrali in grado di migrare nei siti di degenerazione neuronale per rimpiazzare alcuni dei neuroni danneggiati, come dimostrato in recenti studi.

La malattia di Alzheimer resta la principale causa di deterioramento cognitivo nella popolazione al disopra dei 50 anni di età e la più frequente malattia neurodegenerativa da un punto di vista epidemiologico. Ad oggi le nostre armi farmacologiche e biologiche contro di essa sono ancora oggetto di validazione scientifica. Ma possiamo sfruttare al meglio le proprietà di plasticità sinaptica del nostro cervello per prenderci cura al meglio dei nostri familiari e dei nostri pazienti. Mettendo sempre al centro la cura e la comunicazione di emozioni positive.

 

 

Dr. Giorgio Vivacqua

Specialista in Neurologia

Docente di Anatomia Umana Università Campus Biomedico di Roma

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